In questi freddi giorni di fine marzo, in cui la primavera non riesce proprio a venir fuori, scoraggiata o, forse, spaventata dalla neve che ricopre i campi, gli alberi, i tetti ed i cigli delle strade, mi torna in mente mio nonno Rocco. Parlava della neve della r’nn’nedda (rondinella) e poi della neve ‘ru cucc’ (cuculo), che li sorprendeva in primavera. Erano le nevicate che i pastori temevano di più, perché arrivavano quando uomini ed animali erano allo stremo delle loro forze (dopo i lunghi, estenuanti inverni di queste parti) ed alle briciole per il cibo.
E mi raccontava di quella volta che erano stati sorpresi già in montagna da una di queste tardive, impreviste ed abbondanti nevicate. Era rimasto bloccato in un rifugio di fortuna, con parte della famiglia che lo aveva seguito per i pascoli delle prime erbette primaverili, molto apprezzate dagli animali, dopo il fieno e le frasche consumate nell’inverno. Un focolare improvvisato per vincere il freddo e dei giacigli di paglia per riposarsi, sotto un tetto di tavole e legno che non si sapeva quanto potesse reggere sotto il peso della neve. Il tepore degli animali aiutava a tenere un ambiente meno polare ed a rifornire di latte caldo. Un po’ di cibo se lo erano portati per stare qualche giorno, finché (preparato ‘u iazz’) sarebbero stati raggiunti dal resto della famiglia, con ulteriori rifornimenti di farina e pane.
Fu quella la volta – raccontava con enfasi ed un pizzico di orgoglio – che il cognato Rocco r’ copp’l, sollecitato ed impietosito dalla disperazione della sorella Maria Giuseppa, che da giorni non aveva notizie dei figli e del marito, organizzò una spedizione con una squadra di uomini del paese per andare in suo soccorso. Ci misero una giornata intera per farsi strada nella neve alta ed arrivare alle sorgenti del Melandro, presso le quali loro erano bloccati.
Il lieto fine fu colorito di vino ed allegria e qualche preghiera di ringraziamento, per lo scampato pericolo, alla Madonna, a San Michele ed altri santi protettori che non ricordava più.
A me sembrava allora che straparlasse (mio nonno era un gran chiacchierone) ed io lo ascoltavo con rispetto, ma con scarsa curiosità, con poco interesse, come se non ci credessi molto o, comunque, fosse poco importante.
Oggi mi porto il rimorso di non aver approfondito quel racconto (che i figli ed altri testimoni mi hanno testimoniato) ed altri episodi ed aneddoti di quel tempo e di quel mondo che lui – e tanti altri della sua generazione, ma in seguito anche mio padre e mia madre – ha provato ha depositare nella mia memoria.