Michele Rotundo

Chi guarda un vero amico, in realtà, è come se si guardasse in uno specchio.

E così gli assenti diventano presenti, i poveri ricchi, i deboli forti e,

quel che è più difficile a dirsi, i morti vivi;

tanto intensamente ne prolunga l’esistenza il rispetto, la memoria e il rimpianto degli amici.

Ecco perché degli uni sembra felice la morte, degli altri lodevole la vita… 

Erano belli questi versi del De Amicitia di Cicerone, messi lì ad incorniciare una foto di Michele Rotundo, su un manifesto che un lustro addietro ne ricordava la figura, a benedizione delle attività del Centro di Eccellenza nato in suo onore.

Giusto dieci anni fa ci lasciava Michele!

Misurata in anni (o in mesi o, ancor di più, in giorni) la sua assenza quotidiana, familiare, amicale, sembra un’eternità.

Eppure, lo stesso tempo, misurato in numero ed intensità di ricordi, misurato in gradi di affettività ed emotività, sembra che non sia mai partito.

Ci manca! È vero!

A me manca tanto!

Mi manca tanto il sognatore, l’altro folle visionario che non smetteva mai di immaginare, per il suo paese, per la sua gente, un futuro dignitoso, ricco, prosperoso.

Mi mancano la sua capacità di ascolto ed il suo pragmatismo; la sua tenacia (che sovente sfiorava la testardaggine) e la sua instancabilità.

Mi mancano le notti passate in giro per Sasso (a piedi o dentro la sua macchina, a seconda del tempo e delle stagioni) a progettare il mondo, come due ragazzini imberbi.

Mi manca il piacere d’incontrarlo e di viaggiare insieme, perché stare insieme a lui era sempre piacevole e non era mai banale. Mi manca quel viaggio in Germania, per il funerale di nostra cugina, che utilizzammo per sognare un consorzio di produttori e consumatori di salumi (perché, non c’è niente da fare, solo a Sasso si fanno i salami buoni!), che poi provammo a realizzare, senza riuscirvi.

Mi mancano anche i dissidi, le differenze d’interpretazione, i punti di vista diversi, sempre civilmente e amichevolmente espressi, senza risparmiarci nulla.

Le discussioni sembravano infervorarsi senza via d’uscita, poi, improvvisamente, diventavano sfottò ed alla fine ognuno rimaneva con la sensazione di essersi arricchito, dalla discussione, senza aver ceduto nulla, con il sorriso ed il sapore dolce dell’amicizia.

Io d’impostazione comunista, lui di fede socialista; le sue amicizie politiche e istituzionali in contrasto con i miei riferimenti politici; i nostri percorsi ideali.

Eppoi lui era milanista, io irrimediabilmente interista!

Mi manca la sua simpatia, la sua ironia, la sua allegria.

Ma ancor di più mi mancano le manifestazioni della sua amicizia.

Non c’è stato un momento di difficoltà della mia vita che non me lo sono visto accanto: discreto ma rassicurante.

Mi auguro di avergli dato la stessa sensazione nelle tante vicissitudini della sua intensa ma sfortunata esistenza. Mi ha sempre inorgoglito sapere che (come lui affermava), fra tanti medici bravi di cui lui godeva l’amicizia e la stima, il suo “medico personale” fossi io.

Ed ora scusatemi: non riesco più a scrivere. Troppi ricordi ed emozioni si accavallano, privandomi della lucidità necessaria per descriverli.

Ed allora torno al De Amicizia di Cicerone, che meglio descrive il senso della nostra amicizia.

Aggiungo solo, con Fabrizio De André, per consolarmi: caro Michele “È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”.

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