Capriccio contro lo Aglio

Fra i 24 Capitoli gioiosi e satirici di Luigi Tansillo, che con tanto entusiasmo ed ammirazione Scipione Volpicella pubblica a Napoli nel 1870, ve n’è uno che vorremmo presentare prima degli altri alla vostra lettura, perché ispirato dal sommo poeta Orazio, suo conterraneo, contro l’aglio.

Siamo sicuri che, come ci suggeriscono proprio gli stessi editori di questa raccolta del Tansillo: “La piacevolezza e l’utilità, che la lettura di questi capitoli è atta a porgere, ne renderanno per fermo accettevole la pubblicazione a tutti

coloro, che provano il bisogno di serenar l’animo nelconoscimento della buona poesia e delle onorate memorie italiane”.

Prima di pubblicare questo Capriccio contro lo Aglio, che il Tansillo dedica al signor don Garzia di Toledo, suo Mecenate presso la Corte Vicereale di Napoli, nascondendo, ovviamente, la sua ispirazione, ci sembra utile e doveroso presentarvi quello che scriveva Orazio, intorno al 40 a.C., riguardo ad una sua disavventura con l’aglio, dedicando un Epode (non sappiamo se in modo gioviale o per rispondere ad uno scherzo) al vero, originale Mecenate.

È il terzo degli Epodi, di cui vi diamo in latino solo l’incipit:

Parenti solim si quis inpia manu
senile guttur fregerit,
     edit cicuti Salium nocentius…

e vi proponiamo la bella versione che ne diede qualche tempo fa Germano Zangheri

Se mai qualcuno un giorno con sacrilega mano
dovesse aver squarciato la gola al vecchio padre,
dovrà mangiare allora di quest’aglio,
che micidiale è più della cicuta.
Dev’essere ben forte

lo stomaco dei nostri contadini!
Che razza di veleno è questo

che adesso infuria in fondo alle mie viscere?
Alle verdure, dunque, a mia insaputa

è stato forse aggiunto, durante la cottura,

il sangue di una vipera?
Che sia stata Canidia

a porre mano a questo cibo orrendo?
Quando Medea rimase folgorata

dalla vista, fra tutti gli Argonauti,

del loro affascinante comandante,

Giasone unse di un siffatto unguento,
allorché si accingeva a sottoporre i tori
a un giogo a loro ignoto.

E dopo essersi infine vendicata

dell’odiata rivale donandole una veste
di quel veleno stesso già impregnata,
fuggì trainata dai serpenti alati.
Né mai dagli astri calò tanta arsura
sull’assetata Puglia,
né sulle spalle del possente Ercole
avvampò più infocato il dono.

E se anche a te venisse la voglia di gustare

qualche cosa di simile,
caro il mio Mecenate spiritoso,
io t’auguro di cuore che la tua bella donna
con la mano respinga ogni tuo bacio
e si rannicchi inorridita
sulla sponda estrema del letto.

 

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