DEUTSCHLAND ÜBER ALLES

“Alessandra, su RAI Sport replicano una partita che di sicuro ti è rimasta impressa” e mia figlia, dall’altro capo del telefono, mi risponde “la finale dei Mondiali Italia-Germania? non ti preoccupare, papà, ti abbiamo perdonato. E la stessa risposta la ricevo poco dopo da Ivana, l’altra mia figlia. Di quale misfatto mi hanno perdonato per un episodio accaduto trentotto anni fa, quando frequentavano ancora le scuole elementari?

Tutta l’Italia era tricolorata come capita nelle grandi occasioni che vedono impegnata la Nazionale di calcio; abbiamo assistito alla celebrazione della medesima liturgia anche nel corso di una pandemia, e va bene così. Nessuno si aspettava che l’Italia arrivasse a disputare la finale e per giunta contro una rivale storica quale la Germania, che più di tanto non si può chiedere per far scoppiare tutti gli indici di adrenalina persino a quei pochi e, per quei tempi un po’ meno poche, che non sanno che farsene dei calci tirati ad un pallone; ma quando scende in campo la Nazionale è tutta un’altra musica, e figuriamoci se è in palio il titolo mondiale.

In questa gigantesca marea tricolore mi passò per la testa l’idea più folle di mettermi a tifare per i Teutonici, e, avendo portato le sere precedenti le bambine in pizzeria per premiarle non ricordo bene per che cosa, alla fine le avevo conquistate alla mia causa con grande costernazione dei parenti e degli amici, i quali a qualche mia stramberia erano per certi versi abituati, ma in questo caso si trattava di una vera e propria circonvenzione di incapaci e faceva capolino l’articolo 643 del codice penale.

Vedemmo la finale a Trani a casa dei nonni, con il televisore a colori che un anno prima nonno Luigi era andato a comprare con una certa urgenza su richiesta pressante delle nipotine che a causa del terremoto avevamo depositato presso di loro per diversi mesi. Noi tre, le due piccole traditrici insieme al loro degno padre, facevamo anche sfoggio di una bandierina tedesca recuperata grazie ad una ricerca faticosa tra i rimasugli dei vari viaggi.

Questa benedetta partita è tornata a galla dopo trentotto anni per un puro caso. Si era concluso il notiziario su RAI News e chissà quale Monacello mi ha ispirato a passare su RAI Sport, proprio a me che manca del tutto la mania nevrotica dello zapping. Ed ecco sullo schermo Scirea, Zoff, Oriali, Rummenigge, Müller, Bearzot e in tribuna il migliore centravanti che abbiamo mai avuto, Sandro Pertini con al fianco il re Juan Carlos.

Stavano trasmettendo proprio la partita incriminata. La RAI, con il calcio fermo a causa dell’emergenza sanitaria, per accontentare e tener buoni gli appassionati riversa a tonnellate tutto il suo materiale d’archivio. Ho pensato di spegnere il televisore, cosa che avrei dovuto fare già prima con l’ultima immagine sull’altro canale di un Trump che non lasciava ben sperare; però alla fine mi sono accomodato sulla poltroncina e ho rivisto la partita, questa volta tifando per l’Italia, ed anche in questo caso c’è stato un ché di maramaldesco: troppo comodo, sapendo come andava a finire il risultato a nostro favore entrato ormai negli annali della storia.

Rivedo il susseguirsi dei tre gol azzurri che intristiscono le bambine fino a farle piangere. C’è di più, avevamo i bagagli dietro la porta perché avevamo programmato che subito dopo la partita si sarebbe partiti alla volta delle Valli Valdesi per viaggiare col fresco della notte. Lungo la strada incrociammo tutti i clacson che inneggiavano alla vittoria in uno sventolio di tricolori mentre Alessandra e Ivana continuavano a soffrire per la sorte toccata a i tedeschi.

Rivedendo dopo tanti anni il fraseggio tra Tardelli, Cabrini e Altobelli mi sono chiesto quale follia mi aveva portato a tifare per la Germania trascinando nel gorgo del tradimento due povere anime innocenti. Le ragioni che cerco di darmi adesso probabilmente non sono quelle di allora; si accostano di più alla difesa disperata di un avvocato che rinuncia a sostenere l’innocenza e si aggrappa a tutte le attenuanti possibili. Ed è questa la mia strategia difensiva che farebbe obbiettare ad un giudice “avvocato si attenga ai fatti”. Ma in fin dei conti sono proprio i fatti che elencherò che possono offrire una spiegazione di quel tifo galeotto.

Fino a poco tempo prima avevo ricoperto una carica sindacale di un certo rilievo, quanto meno nella dimensione lucana. Dalla sera alla mattina ero stato costretto a mollare tutto e andare a fare il maestro in una scuola di campagna vicina a un bosco. Mi ero adattato, mi impegnavo e cercavo di fare del mio meglio; tra i miei alunni non c’era nessun Pierino figlio del dottore, mi ricordavano tanto i contadinelli di Barbiana. Ma per quanto ce la mettessi tutta nei nuovi panni di maestro, qualcosa mi rodeva dentro, e quando non sai proprio con chi pigliartela, te la prendi con tutti, soprattutto col primo che ti capita a tiro.

Militavo da anni nel sindacato e nel Partito Comunista ed esiliato in una scuoletta di campagna mi sentivo maltrattato e incompreso dal mio partito; infatti l’anno dopo ero il capolista di Democrazia Proletaria alle politiche. Non ne potevo più della Basilicata e pensavo di trasferirmi da qualche altra parte, infatti dopo un paio di anni facevo il maestro a Carpi. Non mi va di nascondere nemmeno qualche disagio personale: anche se non davo eccessiva importanza alle cotte che mi pigliavo e che finivano come finivano, per quanto tutto sommato riuscissi a mantenere la carreggiata, le sbandate si sentivano e facevano male. Senza dimenticare che bastava un colpo di vento che facesse sbattere una finestra ed il pensiero correva al terremoto che ancora ci portavamo dentro.

Va bene tutto questo, benedetto figliolo, ma che c’entra il tifo per la Germania? E a questo punto veramente devo appellarmi alla clemenza della corte perché c’è da arrampicarsi sugli specchi. All’epoca della partita della mia vergogna ricopriva la carica di cancelliere il socialdemocratico Schmidt e si respirava un’aria di rinnovamento grazie al carisma di Willy Brandt; i tempi di Adenauer sembravano lontani un secolo. In aggiunta c’era l’apoteosi dei Verdi che come una Cavalcata delle Valchirie rivoltavano le coscienze dei giovani tedeschi da cima a fondo. Dopo essere vissuti per più di un decennio affascinati dal Viet Nam, per alcuni di noi era arrivato il momento che la Germania dell’ostpolik catalizzasse la nostra attenzione e questa opzione era fatta propria da alcuni intellettuali le cui opinioni circolavano nella sinistra e godevano di una indubbia influenza. Allora il Muro di Berlino appariva immortale come le piramidi, ma quanto fuoco già covava sotto le ceneri si è visto dopo sette anni.

“Imputato, non confonda le sue vicende personali con i destini dell’Europa e non confonda il Bernabeu con il Parlamento di Strasburgo”. Vostro Onore, mi permetta soltanto di ricordare che eravamo convinti che la classe operaia dovesse andare in Paradiso e invece ci ritrovammo con la scala mobile in frantumi dopo i successi politici e sindacali della sinistra nel corso degli anni Settanta. Quando ti senti sconfitto ed impotente alla fine bestemmi, e quale bestemmia è più efficace e più terribile dell’oltraggiare la Nazionale Azzurra.

Non sono riuscito a dare una spiegazione convincente, mi è sufficiente il perdono delle mie figlie, però non immaginavo che una partita di pallone facesse ritornare a galla un Mimmo Guaragna di trentotto anni fa e che oggi osservo con un certo distacco e quasi quasi faccio fatica a riconoscere; e mi viene da sorridere: mi è andata bene, la vita mi è stata amica e non so quanto lo meritassi.

Mimmo Guaragna

AMARCORD N° 2

9 Giugno 2020

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