Mia sorella Antonella è nata all’alba del primo maggio. Verso le undici io e l’altra sorellina andammo in piazza con papà e lui si accomodò ad un tavolino davanti il caffè invitando gli amici a festeggiare l’arrivo della Cicogna. Associo questo lieto evento alle bandiere rosse e alla banda che accompagnava il corteo sulle note dell’Inno dei Lavoratori. Ero piccolo per capire il messaggio che l’oratore lanciava dal palco, mi rimase impresso il tono secco e determinato della sua voce nello stesso tempo piena di calore, appassionata e sincera. Passò qualche anno e ritrovai questo compagno alla guida del Sindacato, diventai amico di Vittorio, la sua passione, il suo impegno, la sua dedizione non erano stati scalfiti dal tempo; è stato uno dei miei maestri.
Di ogni Primo Maggio porto un ricordo diverso: piazza San Giovanni con lo sfondo della Basilica Lateranense; i comizi nei piccoli comuni montani; le mobilitazioni, sempre con tensione e allerta, in America Latina; la ricorrenza nel Regno Unito, dove la Festa del Lavoro è un giorno lavorativo, però la sera ci si incontrava alle Trade Unions.
Un cretino geniale, quando il movimento sindacale stava subendo la risacca dopo i ruggenti anni sessanta e settanta, per rivitalizzare il Primo Maggio si inventò il Concertone, una carnevalata di successo che però nulla ha potuto per contrastare la delegittimazione del sindacato ormai senza più un’anima nella sua implacabile deriva.
Tra le sciocchezze della mia vita, a proposito del Primo Maggio, ho in archivio che, appena rientrato a Potenza dopo tanti anni, suggerii che i ragazzi immigrati, ospiti dell’organizzazione con cui collaboravo, partecipassero alla manifestazione. Non capirono granché sul perché fossero capitati tra le bandiere sindacali, probabilmente lo fecero per puro spirito di obbedienza; ma i nativi capirono ancor meno questa inusuale presenza, col senno di poi sarebbe stato eccessivo pretendere che i Dannati del Canale di Sicilia venissero accettati con la dignità di lavoratori quando invece è molto più comodo omologarli come poveracci da brandire contro il Salvini di turno.
I lavoratori ancora esistono, per quanto dispersi, sparpagliati e disoccupati, ma la loro festa si è andata sempre più spegnendo, ci mancava soltanto il covid per completare il disastro. C’è una remora a sentirsi lavoratore; è diventato molto più spontaneo collocare la propria appartenenza definendosi ambientalisti, solidali, democratici, consumatori e roba di questo genere; ma regge anche il dichiararsi populista o sovranista. Insomma, il lavoro vive ancora in mezzo a noi ma è meglio che non si veda e non se ne parli.
A quattro gatti che abitano nella Contrada Ariasilvana è venuto in mente, in occasione del Primo Maggio di quest’anno, darsi appuntamento presso il loro orto sociale, continuare a seminare e provare a dare un significato dignitoso e conviviale alla Festa del Lavoro. Di sicuro ci saremmo entusiasmati di più con una bella manifestazione di altri tempi. Ritrovarsi pochi spiccioli di persone nei pressi di un minuscolo orto è un ripiego. Ci possiamo consolare ricordando che la Lunga Marcia per l’Emancipazione contempla ritirate e anche vere e proprie disfatte sonore.
Non è alla vista nessuna palingenesi. Il Sol dell’Avvenire attualmente è in viaggio verso altri lidi. Oltre tutto le persone ci pensano due volte ad assembrarsi adesso che siamo in pandemia; poi però ti accorgi che si continua a celebrare il rito delle Sardine proprio in quei luoghi che hanno frantumato e obliterato la coscienza del lavoro. Ma non è soltanto il covid che invoglia alla diserzione, piuttosto questo accidente può diventare un alibi; c’è che si è perduta la fiducia non soltanto nel lavoro ma nello stesso domani. Non è questo il tempo dell’azione bensì dell’attesa. Attesa? Ma l’attesa presuppone un domani, provoca e stimola a configurare il futuro, mette la mente in movimento.
Ci ritroveremo in pochissimi la mattina del primo maggio presso l’orto di Ariasilvana. Quando alla Festa del Lavoro sventolavano migliaia di bandiere rosse, si cantava una canzone che diceva “chi ha esitato questa volta lotterà con noi domani”.
AMARCORD N°16
23 aprile 2021
Mimmo Guaragna